Giuseppe Lahoz Ortiz
Generale prima austriaco, poi francese antipontificio, poi antifrancese, condusse ad Ancona una resistenza contro l'occupazione francese napoleonica.
Tratto dall'Enciclopedia Biografica Treccani, con nostri adattamenti.
Giuseppe Lahoz nacque probabilmente nel 1766 a Milano o nel Milanese. In realtà , il luogo e data di nascita sono stati a lungo discussi. Si sa che Lahoz viene dichiarato milanese e di trent'anni nel primo stato nominativo degli ufficiali della legione lombarda, da lui organizzata nell'ottobre 1796.
Intrapresa la carriera militare nell'esercito austriaco, raggiunse il grado di tenente nel reggimento "Belgioioso". Ma all'inizio della campagna d'Italia del 1796, verosimilmente perché affascinato dalle idee rivoluzionarie, passò all'esercito francese, in cui servì come aiutante di campo del generale di divisione A. Laharpe e, dopo la morte di questo (10 maggio 1796), del generale Napoleone Bonaparte. Il 6 ottobre dello stesso anno promosse una petizione popolare per la formazione di una legione lombarda di linea; Bonaparte acconsentì alla richiesta, e la legione lombarda, primo nucleo del futuro esercito cisalpino, fu rapidamente costituita.
Lahoz ne assunse il comando come capo di legione con rango di capo di brigata (colonnello). Con tale legione il 2 febbraio 1797 affrontò e sconfisse le truppe pontificie sul Senio (rimasto ferito nel combattimento, fu ricompensato con una spada d'onore e con la promozione, il 25 febbraio, a generale di brigata comandante in capo delle truppe lombarde). Partecipò attivamente a numerose altre insorgenze repubblicane nel Nord (Bergamo, Brescia, Chiari, Ponte San Marco, Verona) in supporto alle truppe francesi.
Il 2 luglio il Direttorio esecutivo della neocostituita Repubblica Cisalpina affidò a Lahoz il comando ad interim della piazza di Milano, lasciandogli il comando di tutte le truppe cisalpine. In quei giorni egli era anche membro del comitato incaricato, dal 29 giugno, di redigere la carta costituzionale della Repubblica Cisalpina, promulgata l'8 luglio da Bonaparte e sottoscritta anche da Lahoz. Il giorno successivo fu nominato membro del comitato consulente militare cui, con altri tre comitati, erano affidate le funzioni del Corpo legislativo cisalpino finché questo non fosse nominato. Il 19 luglio, per contrasti con il ministro della Guerra A. Birago, si dimise da generale di brigata comandante le truppe cisalpine, ma il ministro respinse le dimissioni e lo esonerò soltanto dal comando della piazza di Milano. Lahoz cessò le sue funzioni militari solo dopo che Bonaparte, nominando per la prima volta il Corpo legislativo cisalpino (9 nov. 1797), lo ebbe incluso tra i rappresentanti del Dipartimento del Mincio nel Gran Consiglio (la Camera bassa).
Il 5 aprile 1798 chiese al Direttorio cisalpino un congedo di sei mesi per partecipare, come aggiunto allo stato maggiore, alla spedizione contro l'Inghilterra che si stava preparando sotto il comando di Bonaparte; ottenuto il 7 aprile il congedo richiesto, il 10 diede le dimissioni dal Gran Consiglio, subito accettate. Ma rimase in patria, essendo stato nominato (18 aprile) ispettore generale delle truppe cisalpine. Nel luglio successivo fu inviato a Parigi dal Direttorio cisalpino per tentare di convincere il Direttorio francese dell'opportunità di mantenere in vigore la costituzione cisalpina del 1797. Fallita la missione diplomatica (il ministro francese delle Relazioni estere de Talleyrand rifiutò di riceverlo), il 31 agosto Trouvé, ambasciatore di Francia a Milano, compì un colpo di Stato nella Cisalpina, imponendo una nuova costituzione ed epurando il Corpo legislativo e il Direttorio; anche Lahoz fu epurato, subendo la destituzione dal grado di generale di brigata il 7 settembre (ufficialmente per suoi "oltraggi" alla Repubblica francese nella persona del suo ambasciatore Trouvé mediante una nota riferita nei giornali di Parigi). Ma il 3 dicembre successivo, per intervento del generale in capo dell'Armata d'Italia B. Joubert, fu reintegrato nel grado e incaricato del comando della 1a divisione cisalpina.
Assunto tale comando a Modena il 7 dicembre, dovette subito occuparsi della situazione del dipartimento del Rubicone, dove si segnalavano rischi di insorgenza. Il 10 ordinò la formazione di compagnie mobili volontarie non solo nel Rubicone, ma in tutti i dipartimenti cispadani. Insospettito da questa decisione, il Direttorio cisalpino, che già diffidava di lui (denunciato in quello stesso mese come sospetto cospiratore antirepubblicano), inviò un commissario di guerra a sorvegliarlo; il generale Joubert gli negò l'autorizzazione a concentrare le truppe cisalpine a Ferrara, come intendeva fare per compiere la trasformazione delle legioni in mezze brigate, secondo la legge 29 nov. 1798. L'8 genn. 1799, dichiarandosi offeso dalla nomina a generale di divisione cisalpino di J.H. Dombrowski, che era stato nominato capo di legione dopo di lui (la notizia era peraltro inesatta), rassegnò le dimissioni, che furono accettate dal Direttorio il 12 gennaio.
Il 25 aprile - alla vigilia della battaglia di Cassano d'Adda, in seguito alla quale le forze franco-cisalpine dovettero ritirarsi dalla Lombardia - fu richiamato in servizio e destinato al comando delle forze nazionali cisalpine nei dipartimenti a sud del Po, in subordine al generale J. Montrichard, comandante dell'ala destra dell'armata d'Italia. Giunto a Bologna il 27 aprile, nei giorni seguenti compì vari atti che andavano oltre i suoi poteri e che gettarono su di lui una luce assai ambigua: tentò invano di costituire una giunta di difesa dei dipartimenti cispadani e di mobilitare 6000 guardie nazionali, ordinò la costituzione di un "corpo franco italiano" e, portatosi a Forlì, proclamò (4 maggio) lo stato di assedio nel dipartimento del Rubicone. Il 5 maggio Montrichard ordinò la sospensione di Lahoz e del generale D. Pino, suo luogotenente; ma l'aiutante generale Hulin, cui era affidata l'esecuzione dell'ordine, dispose invece l'arresto dei due generali cisalpini e lanciò un ultimatum alle loro truppe. Pino allora abbandonò Lahoz (11 maggio) per raggiungere ad Ancona il generale J.-Ch. Monnier, protestando la propria lealtà alla Cisalpina e alla Francia; il suo esempio fu seguito da quasi tutti i soldati agli ordini del Lahoz, e questi passò agli insorgenti che fiancheggiavano la coalizione antifrancese.
Già il 23 maggio partecipò a un'azione degli insorgenti, la presa di Ascoli. Dall'inizio di giugno i capi dell'insorgenza marchigiana lo riconobbero loro comandante supremo; come tale stabilì rapporti con le potenze nemiche della Francia e l'8 luglio istituì a Fermo una "reggenza provvisoria imperiale reale pontificia". Dal 20 luglio condusse una vasta offensiva degli insorgenti in tutto il territorio della Marca; sconfitti i Francesi a Senigallia il 3 agosto, il 6 occupò il monte Conero e l'8 assaltò il forte della Montagnola; pose quindi l'assedio ad Ancona, difesa da Monnier e Pino.
Le motivazioni del comportamento di Lahoz nel 1799 rimangono misteriose. È mera leggenda che fosse il fondatore e il capo di una società segreta indipendentista detta "dei raggi", la cui esistenza non è storicamente provata. Il suo passaggio repentino dal ruolo di generale cisalpino a quello di generale degli insorgenti sembra ad alcuni la prova di un tradimento ben preparato. Ma tra il settembre e l'ottobre da parte franco-cisalpina si attendeva il suo ritorno (come sembra dimostrare una lettera che J.-É. Championnet, generale in capo dell'armata d'Italia, gli scrisse il 23 settembre), mentre il suo subalterno G. Cellini lo accusava apertamente di doppio gioco e veniva perciò da lui messo agli arresti.
Nella notte tra il 9 e il 10 ottobre gli assediati di Ancona effettuarono una sortita con tre colonne, di cui una, comandata da Pino, puntò sulle linee nemiche dove si trovava Lahoz. Qui si compì un dramma poi raccontato in più versioni, una delle quali particolarmente romanzata: Lahoz, ferito e catturato dagli stessi soldati cisalpini che a lungo aveva comandato, si trovò alla mercé del vecchio amico Pino, che gli avrebbe fatto dare il colpo di grazia da un soldato onde risparmiargli un processo per tradimento e la fucilazione. È però documentalmente provato che Lahoz sopravvisse un giorno intero alle ferite e morì l'11 ott. 1799 nella vicinissima Varano, dove era stato trasportato dai suoi uomini. Ebbe solenni esequie nella basilica della S. Casa di Loreto, nel cui sotterraneo fu sepolto.