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Introduzione storica

di G. Luchetti, Ancona città fortificata (con nostre integrazioni).

 

Un utilissimo riassunto di storia cittadina incentrato sulle vicende e sulle opere militari,

fondamentale per inquadrare e meglio comprendere i contenuti di questo sito.

 

 

 

Il periodo greco e romano

L'importanza strategica che nel corso della storia è stata attribuita alla città di Ancona è dovuta principalmente alla sua posizione naturale, atipica per la costa adriatica. La città, infatti, si sviluppa alla base di un contrafforte che dall’Appennino scende al mare tra i fiumi Esino e Musone, con un susseguirsi di scaglioni collinosi. Questi, avvicinandosi al litorale, si presentano facilmente accessibili e praticabili nel versante verso terra, mentre scendono quasi a picco verso il mare.

Già all’epoca della città di fondazione greca le potenzialità difensive del luogo erano esaltate da un imponente recinto murario che dalla sommità del Guasco cingeva il porto sottostante, proteggendo il nucleo abitato dalle pressioni esterne dei Piceni a sud e dei Galli a nord. Quasi inesistenti sono i resti archeologici, solo pochi tratti di mura di blocchi tufacei nell'intemo dell'Istituto Birarelli o nei pressi del Palazzo degli Anziani. Le due funzioni, quella portuale e quella difensiva e militare, furono sempre compresenti e fortemente integrate. Unico ricovero per grosse navi da Venezia a Brindisi, ma soprattutto testa di ogni importante linea di difesa neIl’ltalia Centrale, la città riconfermo la sua importanza strategica nel periodo romano, tanto che lo stesso Tito Livio la definiva cardine d'Italia. Venne ampliato il recinto delle mura portandolo sino all’attuale piazza del Plebiscito, allora detta la tagliata. Nel 103 d.C. l’imperatore Traiano realizzò un ampio porto fortificato e protetto e gli anconetani, riconoscenti, gli eressero un arco trionfale su disegno di Apollodoro di Damasco. La città poteva allora vantare uno dei migliori scali dell'Adriatico.

 

 

Le fortificazioni medioevali

Con la caduta dell'Impero Romano, inizia un lungo periodo di decadenza durante il quale la cinta urbana si contrae ritornando all’interno del perimetro greco. Procopio di Cesarea nel 535 descrive la città come una fortezza assoggettata alla vicina Osimo.

Dopo gli assedi degli Ostrogoti (539) e dei Longobardi (568), nel VII secolo Ancona allarga le sue mura cingendo la china meridionale del Guasco con una mura detta Tagliata.

Spesso tali opere sono veri e propri muri di sostegno data la pendenza del terreno e assolvono quindi una duplice funzione.

Nell'846, i Saraceni espugnano la città apportando estese distruzioni. Si rende quindi necessario fortificare anche il lato mare, scarsamente difeso, provvedendo alla costruzione di diciotto torri schierate, senza interposte cortine, lungo l’arco di costa alla base dei colli Guasco e Astagno. Anche le mura vengono rinforzate e protette da fossati.

Dall'878 Ancona, pur reggendosi a repubblica marinara autonoma, riconosce la sovranità dello Stato della Chiesa e viene quindi coinvolta nelle sue vicende. Ma l’efficienza delle sue fortificazioi le permette di resistere agli assedi di Federico Barbarossa (1167) e dell’arcivescovo di Magonza, Cancelliere dell’Impero Cristiano di Buch (1173)

Già nel 950 viene eretta, a fianco dell’arco di Traiano, una solida ed alta torre chiamata torre del Gamba a cui successivamente, agli inizi del Mille, in posizione più avanzata sul molo, si aggiungono la torre della Guardia e la torre del Catalano.

All'estremità del molo, verso il mare aperto, si innalza un’altra torre con funzioni di avvistamento e avviso ai naviganti, detta Fanò.

Tuttavia alla fine del secolo XII il nucleo urbano è ancora racchiuso entro il perimetro della cinta traianea.

È solo nel 1220 che la città subisce il primo grande ampliamento raggiungendo le pendici dell’Astagno, dopo aver inglobato gran parte della Valle della Pannocchiara (attuale spina dei Corsi).

Il lato a mare viene ulteriormente fortificato realizzando una cortina muraria, il corridore, sulla linea delle torri che ora si innalzano in numero di ventiquattro.

Così spiega Gustavo Bevilacqua, nelle sue Relazioni e Note manoscritte (metà del sec. XIX),tale apparato di difesa: <<Nel sistema delle fortificazioni della suddetta parte del Medio Evo vediamo ripetersi continuamente, escluso il caso delle opere avanzate, un fatto che le caratterizza; quando si voleva fortificare una linea, si stabilivano delle torri, per ordinario a poco meno di due tiri di balestra e se si poteva ad un tiro soltanto; indi le torri si congiungevano con una cortina, perchè fosse pronto, facile e sicuro il raccordo di tutta la linea fortificata.>>. Le torri altomedioevali dovevano sicuramente costituire parte del fondamentale del fascino che esercitava la città per chi giungeva dal mare, tanto che un editto comunale del 1494 proibì la loro cimatura indiscrimjnata per non difformare la città e contestualmente privarla di un adeguato apparato di difesa e di avvistamento, ancora necessario per le continue minacce dei Turchi. Nonostante ciò, le torri rovinarono nel XVI secolo. Gli unici resti delle fortificazioni medioevali giunte sino ai giorni nostri sono la porta Capoleoni e l’arco Nappi o Russi, lungo via Saffi.

 

 

Le rocche del XIV e del XV secolo

Nel secolo XIV la città subisce un secondo grande ampliamento annettendo una più vasta zona della Valle della Pannocchiara, sino a raggiungere la sommità dell'Astagno, passando per via Torrioni e collegandosi alla nuova Porta di Capodimonte. In quel periodo i perni del sistema difensivo diventano le rocche, che consentono di resistere più a lungo alla forza assediante anche dopo l’eventuale espugnazione delle mura. Le fonti storiche ci parlano di due rocche nella città di Ancona: la rocca di San Cataldo sul colle dei Cappuccini, e la rocca di Santa Caterina, in cima all’Astagno e in prossimità della porta di Capodimonte.

La prima era stata eretta dal Cardinale Egidio Albornoz con un triplice scopo: difendersi dai nemici dello Stato della Chiesa, tenere la città in uno stato di soggezione e creare una sede decorosa e piacevole per il Legato e per il riposo estivo del Pontefice. I lavori durarono cinque anni con profusione di grandi ricchezze: i migliori artisti dell'epoca vennero chiamati a prestare la loro opera di pittori e di scultori per la decorazione monumentale dell’edificio. ln base ai documenti la rocca di San Cataldo era composta essenzialmente da due parti strettamente collegate: il cassero, munito di torre di avanguardia e triplice fossato, e la rocca propriamente detta, di pianta quasi quadrangolare. Questa a sua volta era divisa in due sezione da un altissimo muro su cui si innestava la torre maestra: sulla cima dominava una specie di grande faro per le segnalazioni ai naviganti.

La rocca purtroppo ebbe vita breve, venne infatti eroicamente abbattuta nel 1382 dal tumultuoso popolo anconetano per la continua minaccia di oppressione che la stessa rappresentava.

La rocca di Santa Caterina venne eretta nel 1348 dai Malatesta di Rimini, che si erano impadroniti della città stremata dalla peste, nel luogo dove già esisteva la torre di guardia. Questa nel corso del 1300 cambiò il suo nome in torre di Santa Caterina in seguito alla costruzione, nelle vicinanze, di una chiesa dedicata al culto della Santa. La rocca, custodita da un castellano, da due bombardieri oltre che da un certo numero di soldati di presidio, rappresentava un peso per la popolazione che doveva provvedere alle elevate spese di manutenzione e pertanto venne fatta abbattere dal Governatore della Marca Andrea Bontempo, con l’approvazionedi Papa Gregorio XI.

 

 

La Cittadella del Sangallo e la fortificazione moderna

Dopo la presa di Otranto da parte dei Turchi nel 1382, si intensificarono le opere di fortificazione della città. La cinta di terra venne rinforzata da Pietro Amoroso scavando un fossato e aggiungendo un muro di scarpa. Sul lato del porto vennero realizzati, sempre dall’Amoroso, due rivellini: il rivellino del Gran Bastardo nel 1452, all’estremità del molo Traiano ed al posto della precedente torre quadrata, ed il cavaliere dell'Arsenale nel 1509, costruito sotto le rupi di San Ciriaco; entrambi furono abbattuti nel secolo XIX. Un terzo rivellino venne costruito sotto le pendici dell'Astagno, all’estremità opposta dell'ansa portuale. Ma è solo dopo il Sacco di Roma, nel 1527, quando si rese necessaria la riorganizzazione dello Stato Pontificio, che Ancona, unico porto sull’Adriatico dello Stato della Chiesa, si trasformò in una vera e propria città-fortezza.

Seguendo i nuovi criteri di difensivi imposti dall'evoluzione dell'artiglieria, le mura perimetrali vennero rinforzate e abbassate. A seguito dell'avvento delle bocche da fuoco, alla metà del ‘400, si imponeva una diversa articolazione delle nuove architetture fortificate, vincolando sia la pianta sia l'alzato ad un preciso schema geometrico. La pianta doveva costituirsi in modo tale da permettere un adeguato tiro di fiancheggiamento nei confronti delle altri parti della fortificazione e l'alzato doveva offrire un bersaglio defilato, caratterizzato da superfici d’impatto non perpendicolari alle previste traiettorie dei proiettili lanciati dalle artiglierie dell' assediante. Una vera rivoluzione rispetto ai dettami dell’alto Medioevo, quando le mura erano perfettamente verticali. Gli angoli salienti dei circuiti potevano assumere conformazioni planimetriche di vario tipo, circolari o pentagonali, purché sporgenti in modo da proteggere le cortine per tutta la loro estensione. Dopo il 1530, però, si adottarono quasi esclusivamente forme pentagonali che permettevano di evitare le “zone morte” delle forme rotonde, consentendo un migliore controllo visivo e di tiro in tutte le direzioni. Il rapporto tra le parti ed il rapporto con l’esterno, regolati da precise regole geometriche tratte dalla geometria euclidea, portarono alla elaborazione di forme articolate in grado di superare rigide simmetrie per adattarsi alle varietà morfologiche dei terreni d'impianto.

Ed è seguendo tali nuovi criteri che Antonio da Sangallo il Giovane, diretto discendente di una generazione di architetti militari, elabora per la città di Ancona il progetto della rocca della Cittadella. L’incarico gli fu affidato da Clemente VII tra il 1527 ed il 1530, dopo aver convinto il Senato dell’ancora indipendente Repubblica Anconitana della necessità di migliorare il proprio sistema difensivo in vista di un imminente sbarco ottomanno.

Dapprima il Sangallo costruì un solido e grande bastione pentagonale là dove già esisteva la Chiesa del Santo Spirito, in cima al colle Astagno. Appena le opere più importanti furono compiute Clemente VII attuò il suo progetto politico: nella notte del 19 settembre 1532 occupò con un tranello la città sopprimendo il libero Comune. Clemente VII aveva ingannato gli anconetani sottomettendoli alla sua nuova fortezza. Da allora e sino al periodo napoleonico, Ancona resterà sotto il governo del Legato Pontificio.

Nel 1533 il Papa, ritenendo inadeguate le opere appena realizzate, ordinò al Sangallo di rivedere i progetti e di rafforzare l’impianto. I nuovi lavori di sbancamento furono portati avanti a ritmo serrato e, dopo la posa della prima pietra avvenuta il 29 maggio del 1533, furono poste le basi di una nuova struttura a fronti bastionati con l’impiego di 1200 operai locali e fiorentini.

Dopo il Sangallo, richiamato a Roma nel 1539, la fortezza seguitò ad essere aggiornata all’evolversi delle tecnologie belliche sotto la direzione dapprima del fratello Michele e poi di G. B. Pelori da Siena, Francesco Paciotto da Urbino, Pellegrino Pellegrini detto il Tibaldi, Francesco Jacopo Fontana ed altri. Alla fine del secolo l’imponente fortezza poteva dirsi compiuta. Dall'alto del colle, a circa 100 metri sul mare, era in grado di dominare la circostante campagna, il porto e –soprattutto- la città, controllandone gli accessi principali. Nel suo interno un'armeria fornitissima ed una fonderia per cannoni e bombarde assicuravano l’armamento necessario.

Già verso la metà del secolo, mentre erano appena incominciati i lavori della Cittadella, si manifestò la necessità di tenere maggiormente distanti dalle mura gli assedianti. Venne pertanto realizzato il Campo Trincerato, un'ampia area al di là delle mura bastionate della rocca e in direzione della campagna, la cosiddetta <<spianata  completamente libera da costruzioni e colture ingombranti, per non limitare il campo visivo e di tiro dei difensori e per non offrire ricoveri al nemico durante l'assedio>>. L’opera, disegnata dal Paciotto ed incamiciata poco dopo in muratura dal Fontana, venne completata nei primi anni del `600 con uno sviluppo murario complessivo di circa 915 metri.

Anche il fronte del porto nel secolo XVI venne interessato dai lavori di rinnovamento. Tra il 1534 ed il 1537 sempre il Sangallo ordinò la costruzione del baluardo di Sant'Agostino, dell'Arsenale, nonchè il restauro del Rivellino del porto. I lavori furono portati a termine da Jacopo Fontana che rinnovò il Baluardo di Sant'Agostino e portò a termine il Baluardo del Lazzaretto Nuovo, sotto il Lazzaretto Vecchio del '400.

Nel 1593 si ingrandì il cavaliere di San Primiano, che prese il nome di baluardo del Correggio e, a protezione dell’Arsenale, oltre il molo traiano, si realizzò il Cavaliere dell’arsenale. Da qui la cinta delle mura, profondamente rinnovata dal Colonnello Cesare Guasco, risaliva il colle che prese il suo nome sino a ricongiungersi con le mura che cingevano la cattedrale di San Ciriaco. Verso la fine del secolo, Jacopo Fontana, in una sua relazione ci informava che la città aveva <<intorno al recinto suo, tanto dalla banda di terra che da quella di mare, otto baluardi, quattro forbici, undici cavalieri, cinque porte principali e nove portelle.>>. Tale sistema fortificato rimase pressoché immutato per tutto il secolo XVII, con la sola realizzazione di un nuovo baluardo presso porta San Pietro nel 1647, vicino al cinquecentesco baluardo del Cassero.

 

 

Le fortificazioni del periodo pre-unitario

Nel 1733, a breve distanza dal baluardo di Santa Lucia, per risolvere un grave problema sanitario, sorgeva in mare, su una avveniristica isola artificiale progettata dal Vanvitelli, il pentagono del nuovo LazzarettoSul piano dell'ingegneria militare quest’opera, munita di un baluardo con nove cannoniere, andava a completare le funzioni difensive della soprastante fortezza del Sangallo e dei vicini bastioni di Sant'Agostino e di Santa Lucia: la prima, in posizione elevata, serviva per tiri a lunga gittata; gli altri, sul mare, erano più efficaci per il tiro ravvicinato ed il fuoco incrociato.

Dalla parte opposta del porto, il Marchionni prolunga il molo a nord e lo fortifica nel 1724 con una batteria sulla quale innalza la torre della Lanterna.

ln effetti dal secolo XIII le opere di difesa della città non sono mai state seriamente impegnate. E' solo verso la fine del XVIII secolo che la situazione, caratterizzata da un’alternanza di occupazioni straniere e dal succedersi di domini e governi, coinvolge il sistema difensivo. Quattro occupazioni francesi, tre austriache, il Regno d'ltalia Napoleonico, il Regno delle due Sicilie, i moti insurrezionali del 1820 e del 1831, la Repubblica Romana, interrompono e riallacciano il dominio Pontificio prima dell'annessione al Regno di Vittorio Emanuele II.

Dopo l’occupazione francese del 1797 le strutture difensive non vennero potenziate come la situazione avrebbe richiesto. Tra il 1789 ed il 1799, al di là del Campo Trincerato furono costruite la lunetta di Santo Stefano e la lunetta dello Spirito Santo, mentre sul colle opposto, tra il 1801 ed il 1802 si realizzò il Forte Cardeto; inoltre si scavarono trinceramenti sul Montagnolo e sui Monti Pelago e Pulito. La città a questo punto risultava chiusa da una cinta di mura che andava dal Colle dei Cappuccini sino alla Cittadella (attraverso Piazza Roma e via Torrioni), ma anche le fortificazioni avanzate sul Cardeto e sul colle di Santo Stefano erano collegate da palizzate e fossati che attraversavano la Piana degli Orti. Durante il Regno Italico Napoleonico il sistema difensivo si consolidò portando a termine la costruzione della Lunetta dello Spirito Santo. Ma, dopo l’occupazione delle forze napoletane di Gioachino Murat, gli austriaci, che avevano conquistato la città nel 1815, iniziarono la demolizione dei forti facendo saltare la lunetta Santo Stefano, la lunetta dello Spirito Santo, i forti di monte Cardeto e dei Cappuccini, gli angoli del Campo Trincerato e il Cavaliere a Basso della Cittadella.

ll 25 luglio dello stesso anno la città fu riconsegnata al governo Pontificio e Papa Pio VII fece sospendere le demolizioni. Ma è soltanto dopo 1821 che si iniziarono i restauri delle opere danneggiate. Nel 1859, dopo un nuovo periodo di dominazione austriaca, le truppe pontificie rinforzarono le opere avanzate su monte Pelago, monte Pulito e sullo Scrima dove sorgeva una lunetta. A Pietralacroce, sulla zona denominata Altavilla, venne costruita una trincea per avamposti con funzione di osservatorio. Tali opere tuttavia erano inidonee al compito difensivo: le lunette di Monte Pelago e di Monte Pulito erano infatti costituite da un semplice parapetto in terra senza alcun ricovero e la lunetta dello Scrima era debolissima per la sua struttura campale e per la sua stessa posizione se non protetta dal Montagnolo.

Questa era la situazione che si presentava il 29 settembre del 1860 all’esercito piemontese che sbarcava ad Ancona all’indomani dell’Unità d’Italia.

 

 

La piazzaforte di prima classe

Il 18 ottobre 1860 l’esercito pontificio capitola a Castelfidardo. Nei giorni successivi si sviluppa un estenuante assedio alla città di Ancona, posta sotto il fuoco delle artiglierie della flotta sabauda. Il 28 settembre viene distrutto il baluardo della Lanterna all’imboccatura del porto, privandolo della sua principale difesa (oggi rimane il basamento della lanterna, il cui moderno edificio sovrastante, ex Ospedale Marittimo, ospita la Guardia Costiera e i Vigili del Fuoco). L’esplosione e la rovina dell’antica struttura coincide con la resa di Ancona ai Piemontesi e la sua definitiva annessione al nascendo Regno d’Italia. La cessione di Ancona, Marche e Umbria avviene a Villa Favorita, proprio ad Ancona (attuale sede Istao, zona Baraccola). Poco dopo il 29 settembre 1860 il nuovo governo italiano eleva la città di Ancona al prestigioso rango di Piazzaforte di I classe, come La Spezia, Taranto e Torino.

Sulle indicazioni dei punti di resistenza elencati, immediatamente il Comando del Genio Militare dispone il progetto della Piazzaforte da realizzare con somma urgenza. Infatti potenziali pericoli per la città sono l’Austria-Ungheria, che ancora occupa il Veneto e la base di Pola (attuale Croazia), da cui è possibile attaccare via mare Ancona ed effettuare sbarchi a nord della città, e la Guarnigione Pontificia di Roma per eventuali azioni via terra (il Lazio era ancora in mano pontificia). Nel marzo del 1861, cinque mesi più tardi viene bandita la gara di appalto per la costruzione della Piazzaforte di Ancona, gara alla quale seguono nell'ordine quelle degli appalti per lavori di manutenzione delle preesistenti strutture utilizzabili, per la costruzione della caserma Villarey e di molti nuovi forti. Grandi difficoltà si presentano nel corso dei lavori: la durissima argilla incontrata negli scavi, l’approvvigionamento dei materiali ed il loro trasporto e l’influire della stagione invernale su lavori sempre all'aperto e con grandi movimenti di terra.

Ancora oggi sembra incredibile che in circa cinque anni la città abbia mutato volto e che sia stata costruita una cosi imponente serie di opere che vanno dalla cinta cittadina, che raggiunge uno sviluppo di 1300 metri, al riordino delle fortificazioni preesistenti, con il loro inserimento nella difesa della Piazza, alla realizzazione di forti di nuova costruzione. Le opere vennero realizzate su accurata progettazione, secondo i criteri contemporanei, da una Sezione del Genio Militare composta da ufficiali esperti di questa branca delI'architettura (primo fa tutti, l’architetto piemontese Giuseppe Morando, progettista di quasi tutte le nuove opere), da maestranze abili e precise, magistralmente dirette, ottenendo un risultato di grande portata. Dopo 155 anni ancora si rivela l’accuratezza della costruzione e l'ottima qualità dei materiali impiegati, nonostante l’assenza di manutenzione. Le difese disposte dal Governo Italiano si articolano su due fronti: quello marino e quello terrestre.

 

 

 

Il fronte di terra

Il fronte di terra viene adeguato alle esigenze create dalla aumentata gittata delle artiglierie rigate ed alla necessità di proteggere il centro della Piazza. Secondo i concetti dell'epoca in base a cui il piano è redatto, vengono progettate tre linee fortificate: le prime due avanzate, costituite da forti staccati, posti sulle alture che sorgono quasi al limite dell’abitato, che avevano lo scopo di spostare le difese sempre più lontano dal centro della Piazza, la terza continua che racchiudeva l'abitato, costituendo il Corpo di Piazza. La terza linea prevede una nuova cinta che rinserra l'abitato ed un ampio spazio antistante le vecchie mura , cioè il tratto fra l'attuale Piazza Roma e l’inizio di Largo XXIV Maggio.

Dopo la monumentale Piazza Cavour, la cinta prosegue oltre le porte Santo Stefano e Capodimonte, utilizzando anche precedenti fortificazioni, scende al mare sino alla porta Pia. La seconda linea avanzata è costituita da tre forti, indubbiamente i più interessanti tra quelli di nuova costruzione:

- il forte Scrima, a monte della stazione ferroviaria, verso Posatora;

- il forte Umberto (o Garibaldi), nei pressi di Piè la Croce sul monte Pelago;

- il forte Altavilla, adiacente l'abitato di Pietralacroce.

Sono opere con considerevole armamento, ottima protezione di terrapieni e murature ben articolate rispetto al terreno su cui sono insediate.

La prima linea si sviluppa perpendicolarmente alla costa all'altezza di via del Ghettarello, sulle alture che per via della Madonnetta conducono al Pinocchio per andare a chiudersi sulla via del Conero, all'incrocio per Monte Acuto. Questa dista dalla cinta delle mura 5 km ed è costituita, partendo dalla costa a nord, dalle seguenti opere:

- forte Montagolo Chiesa;

- forte Montagnolo Torre;

- opera occasionale di torre D 'Ago;

- forte Lucarino;

- forte Pezzotti.

Il forte di Montagnolo Chiesa deve il suo nome alla cappella ove si venerava la Madonna della Mercede (ora il quadro è nella chiesa del Pinocchio). Il forte è formato da due opere chiuse e collegate da un passaggio protetto della lunghezza complessiva di oltre 200 metri e si trova in una posizione molto importante perché, per la sua quota, domina la città ed anche la Cittadella. Per tale motivo, nel secolo scorso è stata sempre zona di accaniti combattimenti. Sullo stesso allineamento, circa 900 metri avanti, si trova il forte di Montagnolo Torre, ove esisteva fin dai tempi più antichi una torre di guardia. È più piccolo del precedente ed occupa una superficie di quasi 9000 mq. Da questo forte la linea svolta decisamente ad angolo retto. All’altezza di Torre d’Ago, nel vasto pendio che domina la piana della Baraccola, un’area era vincolata alla costruzione dell’Opera Occasionale di Monte d’Ago. Si trattava di un impianto da realizzare in caso di necessità con mezzi campali, fortemente armata con 12 cannoni, estesa sul fronte da difendere per circa 300 metri. Tale fortificazione non è mai stata costruita , neppure nei suoi approntamenti preventivi come sarebbe stato invece opportuno fare.

A chiusura della prima linea sul lato sinistro, a cavallo del bivio tra la via per Montacuto e la Strada del Conero, si trovano gli ultimi due forti: la lunetta (o forte) Lucarino, a forma di poligono non regolare costruito su un'area di oltre 11.000 mq., ed il forte Pezzotti.

I due forti sono collegati tra loro da una strada protetta, una specie di trincea in terra con riparo verso il fronte. Questo ultimo forte è interessante perché conserva ancora la caponiera in pietra del Conero sul fronte di gola. Trovandosi quasi al limite dell'inaccessibile parete rocciosa che sovrasta la costa, esso è l’opera più piccola della prima linea. Tutti questi forti sono ora per lo più scomparsi, ma sono ancora individuabili sul terreno da lievi avvallature (i fossati) o da tracce di muratura. La loro struttura è comunque desumibile da precisa documentazione.

 

 

Il declino della Piazzaforte

La Piazza di Ancona ha avuto vita breve. Dopo il trasferimento della capitale d'Italia a Roma, la Terza Guerra d'Indipendenza (1866) ed i nuovi legami diplomatico militari con l’Austria, non sussistevano ulteriori pericoli che potessero provenire dal mare o da terraInoltre, le difficoltà di bilancio aggravato dalle lotte sociali, dalle spese ingenti per le guerre coloniali e per le costruzioni ferroviarie, non ne permettevano l’aggiomamento.

Peraltro il concetto di grandi piazzaforti con numerose truppe (la previsione per la guarnigone di Ancona si aggirava sui 5.000 uomini) non era più ritenuto conveniente e vantaggioso rispetto a corpi di truppe mobili manovranti in campo aperto.

A seguito di tali motivazioni, il Re Umberto I dichiarò con Decreto in data 28 dicembre 1899 che la Piazza di Ancona è radiata dal novero delle piazzeforti dello Stato.

Imprevidenza superiore e disinteresse locale hanno favorito questo provvedimento. Disarmati i forti, smantellate le batterie del porto, Ancona diviene una città esclusivamente commerciale e burocratica. Ora tali opere sono considerate quasi inutili. Alcune subiscono gravi mutilazioni. Il forte Marano, ceduto nel 1899 al cantiere navale, e stato sventrato per ricavarne all'interno una fonderia per ghisa e bronzo. Nel 1901 il saliente del baluardo di Santa Lucia viene mozzato per agevolare il passaggio della ferrovia di servizio del porto, tutt’ora esistente (tratta per Ancona Marittima). Anche il baluardo di Sant'Agostino subisce poco dopo demolizioni per restringerne l’ingombro. Nel 1905 viene smantellata la cinta fra Porta Cavour ed il Cardeto per dar luogo alla costruzione dell'ospedale Civile Umberto l. Altre proprietà del Demanio sono messe in vendita come porta Pia e porta di CapodimonteL'anno successivo il più grande forte di Ancona, lo Scrima, è acquistato da un privato che costruisce una discutibilissima palazzina a forma di castello sopra l’ingresso.

Sembra proprio che questo imponente complesso debba dissolversi, sino a quando nel 1911 viene istituito il Comando di Difesa Marittima in Ancona, che diviene cosi Piazzaforte Marittima. Inizia un lungo periodo che per circa un decennio vedrà la preminenza della Regia Marina, per motivi strategici, nella difesa della città.

Il primo conflitto mondiale evidenzia la vulnerabilità della piazza di Ancona, sia ad operazioni da sbarco, sia da attacchi aerei. Ma questo non contribuisce a determinare un aggiornamento delle opere di difesa, considerata anche l'instabile situazione politica.

Nel 1919 le batterie improvvisate dello Scrima, di Monte Pulito, monte Conero e San Ciriaco basso vengono disarmate. Dopo il 1921 anche altre batterie sono disarmate ed il materiale preso in consegna dalla Regia Marina e dal Regio Esercito. I forti sono usati come magazzini, poligoni di tiro ridotto e scuderie. Della cinta rimane solo il tratto che dallo Scaglione di Santo Stefano porta al Campo Trincerato. Infatti nel 1923 é demolita la porta Cavour per l’apertura di Largo XIV Maggio e nel 1925 cadrà il tratto tra la Porta e l'Ospedale Civile. Il 10 giugno 1940 l’Italia è di nuovo in guerra a fianco della Germania contro Francia e Gran Bretagna. Ancona non ha però approntato una grande organizzazione difensiva e il 2 giugno 1946, all'avvento della repubblica viene abbattuta la lapide dedicatoria del Forte Umberto che assume il nome di Forte Garibaldi.

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